#storiechecontano

Gennaro Tibet

1753

I parteII parte

Anche se mi chiamo così, ve lo dico subito: io il Tibet non so nemmeno dove sta di casa.
In compenso conosco Napoli come le mie tasche. I suoi vizi, le sue glorie, i nobili, gli artisti e i truffatori. Ma più di tutto conosco il Principe di San Severo Don Raimondo di Sangro.
Sono il suo servo, anche se a voi potrebbe sembrare una brutta parola.
Diciamo allora che sono il suo motore di ricerca. Lui mi dice di cosa ha bisogno, io lo trovo.
Soprattutto quando si tratta di arte, di cui è irrimediabilmente innamorato.
Un tipo d’amore che, credetemi, a lungo andare contagia.
Non arte qualunque, che oggi chiunque sappia modellare un po’ di creta o spruzzare vernice su una tela si sente in diritto di organizzare una mostra, o un #vernissage.
Io di vernissage, non ne ho mai visti, di artisti invece ne ho pieni gli occhi.
Parlo di #ArteVera, quella che ti fa stare male quando ci poggi gli occhi sopra. Vertigini, paura, smarrimento. L’arte deve scioglierti il sangue, o in alcuni casi farlo scorrere.
E io so qualcosa anche di questo.

Se so distinguere le croste dai capolavori, lo devo a Don Raimondo. Lui se ne è circondato, questo si sa, ma sono stato io a commissionarla. Con il Principe chiuso nel suo laboratorio, io uscivo in cerca dell’artista giusto.
Che meraviglie ho visto grazie a lui!
Sogno un talent show in cui #ArtistiEmergenti si sfidano nella creazione di capolavori, mentre io e il Principe decidiamo quelli degni di entrare a Palazzo. Altro che i talent di oggi.

A causa di questa sua fissazione, e alla passione per l’esoterismo, il Principe ha sempre fatto richieste strane, che facevano circolare voci strane. Io provavo a spacciarle per #fake, ma le voci, in una città come Napoli, non le zittisci. Al massimo le rendi più misteriose, col risultato di farle diventare #TrendTopic del momento.
Il Principe mi chiamava nel suo laboratorio con quel sistema strano che ha inventato, un reticolo di fori nelle pareti che fanno arrivare la sua voce nelle stanze.

Don Gennaro necessito di un lambicco di vetro con collo stretto e ritorto a guisa di cigno.

Capite qual era il tenore delle sue richieste? Io uscivo a cercare chi avrebbe creato un aggeggio del genere. E certe cose, credete a me, non si trovano mica su Etsy.

tibet gira pagine

Gennaro Tibet 264y

Grazie a queste richieste tutte le opere del suo palazzo e i misteri ad essi associati sono passati tra le mie mani. Una volta mi ha chiesto un lavoro di fonderia, cristalli e smalti da realizzare rigorosamente in un sotterraneo al riparo da sguardi indiscreti. Non scherzo.
Ricordo ancora la data del pagamento: 9 maggio 1754, lo stesso anno dell’eruzione del Vesuvio. Una colata di lava rossa e nera come i liquidi che bollivano negli alambicchi del Principe – non chiedetemi cosa fosse – che aveva lentamente invaso i campi verdi.
Noi di città guardavamo il fumo levarsi in lontananza. Uno spettacolo che avrebbe affascinato anche #BillViola. E parlo sia dell’eruzione, che degli alambicchi fumanti.

Come tesoriere e “secondo” del Principe ho avuto accesso ai suoi soldi, alla sua fiducia e ai suoi esperimenti alchemici, arrivando a custodire segreti inconfessabili. Uno, in particolare, mi aveva tolto il sonno. Una faccenda alla #DamienHirst, per intenderci. E se non è chiaro, mi faccio capire meglio: la richiesta del Principe mi avrebbe fatto risvegliare in una puntata di CSI Partenope. Però.
Però, dopo una vita vissuta nella sua ombra, da secondo, avrei potuto iniziare a contare qualcosa. Sarei potuto essere io quello di cui si sarebbe parlato.

Restare un eterno secondo che senso avrebbe avuto? Tanto valeva essere ultimo.
Come per l’arte. Se non è arte, è munnezza. Non ci sono vie di mezzo.
E comunque le vie di mezzo non mi sono mai piaciute.
Tra ridere e piangere la via di mezzo è una. Ed è la noia.

Leggi la seconda parte.