#storiechecontano
#storiechecontano
Io sono due persone in una.
La prima si chiama Bella, ama la #musica ed è solare come il nome che mi sono inventata per sopravvivere.
La seconda si chiama Angela Esposito, è orfana e a 13 anni ha smesso di essere una bambina. Esattamente quando è stata stuprata da un uomo chiamato Antonio Cerrone.
Per quel delitto fu condannato al pagamento di sessanta ducati, il prezzo che si decise di dare alla mia dignità. Ricordo ancora, parola per parola, la trascrizione del versamento che fu fatto alla Santa Casa a cui venivano affidati gli orfani come me.
“Et per me li sedetti ducati sessanta li pagarete alli Signori Governatori della medesima nostra Santa Casa, per la transazione fatta da me con detta Santa Casa per lo stupro da me commesso in persona di Angela Esposito alias Bella, per la quale causa mi ritrovo carcerato. Che perciò per detta causa non possa in nessun futuro tempo esser molestato ne astretto a cosa nessuna”. Firmato: Antonio Cerrone.
Quella Angela Esposito, però, adesso non esiste più, fatemi parlare di Bella.
Appena nata fui affidata alla ruota degli esposti, il meccanismo dove venivano abbandonati i neonati non voluti. Esposito, il cognome che mi fu assegnato, deriva proprio da questo.
Da quel momento sono cresciuta in orfanotrofio, tra suore e madri superiori, che non è un ambiente degno di nota, ma mi ha permesso di frequentare il #conservatorio della Pietà dei Turchini.
Oggi siete voi a decidere se seguire o meno l’inclinazione per la musica, ai miei tempi invece si veniva messi lì per “conservarci”.
I conservatori sono nati per proteggere i bambini abbandonati. Non sempre funzionava, ma almeno si imparava un mestiere. Quello di #musicista, di accordatore o, se proprio non avevi orecchio, di ragazzo di bottega di #StrumentiMusicali.
Credo di avere imparato a suonare il #liuto prima ancora di iniziare a parlare correttamente. D’altra parte le lettere dell’alfabeto sono 21, mentre le note sono solo 7. Sono i modi in cui possono essere arrangiate ad essere infiniti. Dopo quello che mi è successo ho iniziato a usare la #musica per liberarmi. Più pizzicavo il mio liuto, più mi liberavo del nero che avevo dentro. E più riuscivo a liberarmene, più vedevo gli occhi delle persone che mi ascoltavano farsi lucidi. In quei momenti, dimenticavo tutto e mi sentivo felice.
Il mio sogno era quello di #suonare in una #orchestra, magari in un teatro davanti ad un pubblico vero, ma una persona del mio ceto, a maggior ragione se orfana, non avrebbe mai potuto avere quel privilegio. A meno di un miracolo.
Il mio venne con l’arrivo della peste a #Napoli, quando fui mandata a fare la vedetta sul Ponte della Maddalena, per controllare che nessuno entrasse o uscisse dalla città.
Ogni sera, mentre la malattia si portava via mezza città, io mi esercitavo col mio liuto.
Una notte arrivò sul ponte un medico messinese, disse che la musica lo aveva guidato fino a me. Da quel momento venne ogni sera per ascoltarmi suonare. Si chiamava #CarloMorexano e gli raccontai la speranza di esibirmi davanti a tutti. Promise di aiutarmi e mi diede un bigliettino di referenze che, quando quell’inferno fosse finito – se fosse finito, aggiunse – avrei dovuto presentare a un giovane #compositore che aveva salvato dalla peste. Anche se lui dubitava che la città sarebbe sopravvissuta a quel flagello, io ero sicura del contrario.
Perché se possono esistere diavoli capaci di stuprare una ragazzina di 13 anni, allora devono esistere anche angeli in grado di darle un motivo per continuare a vivere.
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