#storiechecontano
#storiechecontano
L’acqua, l’elemento che aveva portato la #peste a Napoli, fu lo stesso che all’improvviso, quando nessuno aveva ormai più speranze, la spazzò via. La malattia era arrivata via mare, portata dalle navi in arrivo dalla Sardegna, e se ne andò via pioggia un giorno di agosto, quando uno scroscio torrenziale lavò l’aria e le strade, spugnò le fondamenta di legno di alcuni palazzi del centro storico facendoli crollare e bonificò la città da un’epidemia che sembrava inarrestabile.
La gente cominciò a tornare nelle strade, i contagi iniziarono a diminuire e i matrimoni a essere celebrati di nuovo. Era l’anima della città che si svegliava dall’incubo e tornava ad avere voglia di festeggiare. Più che voglia era un bisogno, quello di esorcizzare la paura con l’unica arma che ci potevamo permettere: l’allegria. Anche i preti e i nobili cominciarono a farsi vedere di nuovo, dopo essersi spariti per mesi nei loro palazzi dorati
Finito il tempo dei miei #liveconcert sul ponte, ripresi il bigliettino che mi aveva lasciato #CarloMorexano per mettermi alla ricerca del compositore e guadagnarmi la #audizione che sognavo da sempre. Lessi per la prima volta il suo nome: Salvatore. Che altro nome poteva avere chi avrebbe cambiato la mia vita se non quello?
Mentre attorno a me la città si rimetteva lentamente in piedi, io cercavo il mio musicista bussando a qualsiasi uscio incontrassi. Chiese, banchi, teatri, cantieri, piazze, ville nobiliari, locande: battevo le nocche su ogni porta, chiedendo notizie di un giovane musicista di nome Salvatore. La voce si sparse velocemente e finalmente ottenni il suo indirizzo: era in Via Santa Maria di Costantinopoli, ospite di Tommaso Firrao, Principe di Sant’Agata.
Il giorno seguente presi il mio #liuto e mi presentai a Palazzo Firrao stringendo il mio biglietto tra le mani. Non avevo però fatto i conti col mio aspetto di orfana di strada con la veste rammendata, le scarpe consumate e l’astuccio logoro del mio strumento. La servitù che venne ad aprirmi mi chiuse la porta in faccia senza nemmeno farmi parlare. Ribussai forte sventolando il mio biglietto. Fui presa e buttata in strada come una mendicante. Il mio biglietto strappato sventolava nell’aria in mille pezzi.
Tutto quello in cui speravo per il mio riscatto era finito nella polvere ridotto a brandelli. Se non potevo contare sul mio aspetto per avere un’opportunità, adesso non avrei potuto avere nemmeno le mie referenze. Era tutto finito. Oppure no. Il mio sogno era troppo grande per stare in un pezzo di carta. E io avevo ancora il mio #talento.
Mi fermai al centro del cortile, impugnai il liuto e iniziai a suonare la mia vita. Nota dopo nota, corda dopo corda, raccontai attraverso la musica di Angela Esposito, di Bella, del conservatorio, dei 60 ducati e di quello che avrebbero dovuto risarcire.
Raccontai di Antonio Cerrone, del ribrezzo che avevo provato e dell’odio che ancora avevo nascosto dentro, liberandomene finalmente per sempre.
Non so quanto tempo suonai, ma quando aprii gli occhi successe qualcosa di straordinario. Tutte le finestre del palazzo erano aperte, affollate di persone che guardavano verso il basso. Erano tanti da non riuscire a contarli e tutti, uno dopo l’altro, iniziarono a battere le mani. Applaudivano me.
Dalla porta uscì un uomo che mi invitò a entrare. Si scusò per quell’accoglienza iniziale, mi domandò come mi chiamavo, dove avevo imparato a suonare così. Mi chiese se avessi potuto ripetere quell’esibizione con lui al #Teatro San Bartolomeo. Si chiamava Salvatore.
Scopri le altre #storiechecontano: