#storiechecontano

Piera

1607

I parteII parte

 

Eravamo verso la fine del 1606, settembre, o forse ottobre, non ricordo. Quello che so con certezza è che da quel momento non ci fu giorno in cui non lo cercassi.
Perdevo ore e ore a incipriarmi e scegliere l’#Outfit, convinta ogni volta che fosse quella buona, poi salivo in carrozza e mi facevo portare dovunque. Setacciavo Napoli in lungo e in largo, vicoli e strade, porto e centro antico, colline e litorale.
Mi sporgevo dal finestrino perché fossi visibile a chiunque, facendomi vedere da mezza città.
È sconveniente, mi dicevano. Ma sarebbe stato molto più sconveniente non farmi notare dal mio amato, non trovate?
Conoscevo i #QuartieriSpagnoli, dove Caravaggio aveva preso alloggio, come le mie tasche.
I vicoli, i panni stesi, è tutto impresso nella mia mente meglio di #GoogleMaps.
Quante volte ho fatto arrestare la carrozza d’improvviso pensando di averlo visto.
Bastavano dei capelli ondulati, o un barlume di pizzetto per farmi sobbalzare il cuore.
Mai, mai che fosse lui.

 

 

Pensate che con i miei corpetti strizzati e la mia speranza di vederlo fossi solo una ragazzina viziata? Perché, voi scegliendo con cura le foto da pubblicare non fate lo stesso? Le vostre bocche a cuoricino nei selfie non sono forse concessioni all’ego alla pari delle mie?
Scommetto che se mi tuffo nei vostri profili trovo decine di #duckface.
E poi ero innamorata, e anche se i tempi cambiano, i sentimenti restano uguali nei secoli.

 

 

Il giorno in cui finalmente lo incontrai era il 6 ottobre 1606. Era arrivata una nave di stoffe pregiate dall’oriente e avevo bisogno di ducati per acquistarne qualche rotolo. Al Banco di Sant’Eligio c’era anche quell’odioso di Nicolò Radolovich. Disponeva il pagamento per un tale Michelangelo Caravaggio che sarebbe passato in giornata.
Non poteva che essere stato il destino ad avermi portato lì, in quel momento.
Non mossi un passo, aspettando fin quasi alla chiusura del Banco.
Poi arrivò, facendomi mancare la terra sotto i piedi.
Anche se erano passate ore, era stata una delle attese più belle della mia vita.

 

tibet gira pagine

Piera 410y

 

Lo seguii dal banchiere e allungai lo sguardo sopra la sua spalla. La ricevuta del pagamento che stava incassando menzionava la pittura di una Madonna con Bambino in braccio.
Che bello sarebbe trovarsi in quel quadro, gli dissi.
Lui si girò sorpreso, squadrandomi da cima a piedi. Gli piacevo, non poteva essere altrimenti.
“Perché, hai mai posato?”.
A quel tempo fare da modella non era un mestiere onorevole, ma mentii. Certo.
Mi prese il mento tra le dita, controllando come luci e ombre mi cadessero sul viso.
“Vieni domani al mio studio, da sola”. Mi diede l’indirizzo e uscì.

 

 

Sarei stata la sua Madonna, ci pensate? Quella notte non chiusi occhio, passando in rassegna cosa mettere, come truccarmi, come sedurlo e farlo mio per sempre.
Scelsi un #WhiteTotalLook. Tutta in bianco, come una sposa. La sua.
Mi feci accompagnare davanti alla sua bottega e mandai via la carrozza.
Forse non sarei nemmeno più tornata a casa.
La porta di legno del laboratorio era chiusa. Bussai, ma non ci fu risposta. Bussai ancora. Nulla. Forse doveva ancora arrivate. Aspettai, aspettai e aspettai ancora. Bussando ogni volta più forte. Arrivò mezzogiorno, poi il pomeriggio, infine la sera. Di lui nessuna traccia.
Aveva avuto la peggio in un duello? Un incidente? Magari aveva dovuto lasciare la città di nascosto per qualche bravata delle sue? O forse? Sì, forse mi aveva solo preso in giro.