#storiechecontano

Teresa Battaglia

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I parteII parte

A volte l’amore toglie più di quello che dà. A me è successo così, e anche a tanti di voi, ci scommetterei tutti i miei averi. Tanto ormai non ho più nulla.
Prima non era così. Ero la ricca signora Battaglia, amata dal marito, conosciuta e stimata da tutti. La mattina scostavano le tende in camera mia e mi davano il buongiorno con la frase che preferivo. “Oggi cosa gradisce da mangiare, signora?”.
Adoravo il #buoncibo e, a differenza della maggior parte del popolo che pativa la fame, noi potevamo permettercene in quantità. Dopo aver scelto il #menu, mi facevo accompagnare al mercato del #BorgoMarinari e poi tornavo a osservare le mie cuoche preparare il #PiattoDelGiorno che avevo scelto. La brace sfrigolava, gli stufati gorgogliavano e vapori profumati salivano dai tegami. Tanto per un semplice uovo in camicia, quanto per un brasato al vino rosso, non riuscivo a stare lontana dai piaceri che mi dava la cucina.

A ora di pranzo mio marito rincasava dal porto, dove amministrava la nostra flotta di pescherecci, e con lui arrivava anche il #pescato di giornata ad arricchire la tavola. A volte, di tanto in tanto, si imbarcava anche lui per seguire di persona le partite di pesca più importanti. Stava via al massimo un paio di giorni, per poi tornare con carichi appetitosi. Io andavo ad aspettarlo sulla banchina, per abbracciarlo appena avesse rimesso piede sulla terraferma. Poi, a casa, con lui che ancora sapeva di sale, ci ubriacavamo di ostriche e buon #vino.
Quella maledetta volta, però, non tornò. Passai una settimana intera su quel molo, convinta di vederlo arrivare da un momento all’altro. Inutilmente.

Quando ormai tutti mi consigliavano di prepararmi al peggio, a Napoli attraccò una nave proveniente dall’Africa con una notizia devastante. La sua nave si era spinta troppo in là ed era stata assaltata dai corsari lungo le coste africane. I pirati barbareschi avevano saccheggiato il carico e sterminato l’equipaggio. Solo il membro più influente, mio marito, era stato risparmiato per essere preso come schiavo. Una sorte ancora peggiore che saperlo morto.

Senza lui a portare avanti la flotta, tutte le attività di famiglia iniziarono, una dopo l’altra, a crollare. In pochissimi mesi ero sul lastrico. Niente più entrate, niente più domestiche, niente più tavole imbandite. L’unica cosa che mi era rimasta era il pensiero costante di tirarlo in qualche modo fuori da quell’inferno e nemmeno un soldo per riuscirci.
Avevo due strade davanti a me: lasciarmi morire di dolore, o rimboccarmi le maniche con l’unica cosa che avevo imparato. Scelsi la seconda possibilità: avrei usato il cibo per alimentare la mia speranza di rivederlo. Ogni giorno attraversavo Largo di Palazzo, quella che oggi è #PiazzadelPlebiscito, accendevo un piccolo fuoco in prossimità del porto e, con quel poco che rimaneva della mia sfarzosa cucina, offrivo pasti a buon mercato.

Andare per mare indurisce la pelle, ma non il cuore. I pescatori che conoscevano la mia storia, invece che alle solite locande, cominciarono a venire da me. Cucinavo quello che avanzava dalle loro reti condito con frutta, ortaggi e spezie di stagione che raccoglievo io stessa. Stufati di frutti di mare con pepe e pachino, branzini all’acqua pazza profumati al timo, “cozzetielli” di pane privati della mollica e riempiti di zuppa di pesce, polipetti affogati con pesto di pomodori secchi e basilico: il profumo del mio #streetfood si spargeva per i vicoli del centro storico, accompagnato dalle #recensioni che i marinai si passavano l’un l’altro della mia cucina.

Da un momento all’altro mi ritrovai a dover gestire una fila di persone affamate disposte ad aspettare in piedi per provare le mie ricette. Un giorno, finalmente, tra loro, arrivò anche chi avrebbe potuto intercedere per me nella liberazione di mio marito.

La seconda parte sarà disponibile il 16 ottobre 2017