TRE VOCI PER UNA RIVOLTA


Rodrigo Ponce de Leon, duca d’Arcos e viceré di Napoli

Vi siete fatti un’idea sbagliata di me. Come se questa cloaca che chiamate città fosse stata, prima del mio arrivo, un piccolo e grazioso giardino. Il vero compito di un buon Viceré, sinceramente al servizio di Sua Maestà, è semplice: fornire al Re le risorse di cui ha bisogno. Napoli è davvero la miniera dell’impero. A nessun altro si può domandare come a questi napoletani. La loro fedeltà e la loro mansuetudine è stata ineccepibile, bisogna dirlo. Ma nel loro atteggiamento c’è sempre stato qualcosa capace di suscitare l’allarme e la preoccupazione dei ministri della corte. Un senso di sfida strisciante brilla negli occhi di questa folla di avvocati, bottegai e morti di fame. È una sorta di orgoglio immaginario e fiabesco, un’ideologia dell’insofferenza. Ma non dovete pensare che io abbia fatto peggio dei miei predecessori. Sua Maestà domanda e io obbedisco. Quando mi chiesero di cavare via il sangue a questo popolo già alla fame, io l’ho fatto. Quando questa bestia dissennata fatta di lazzari e di straccioni si è rivoltata come impazzita nessuno ha pensato che, forse, non fosse stata tutta colpa mia. Io che potevo fare? Far crescere l’argento sugli alberi? Disobbedire alla corona? No, Obbedire. Obbedire e combattere le conseguenze di questa fedele obbedienza. Riguadagnare Napoli alla Spagna.

 

Rodrigo Ponce de Leon, Duca d’Arcos, fu viceré di Napoli dal 1646 al 1648 dopo aver svolto la medesima funziona a Valencia. A Napoli il Duca non riuscì ad elaborare una politica diversa dalla rapace estrazione di risorse praticata dai suoi predecessori. Il non mantenimento di alcune promesse sulla riduzione delle gabelle e l’eccessivo peso della tassa sulla frutta scatenò, il 7 luglio del 1647, la rabbia popolare che identificò nel Viceré uno dei simboli del malgoverno del regno.

 

 Giuseppe Donzelli, farmacista

Dovremmo ascoltare la natura quando essa ci suggerisce la verità sull’essenza del mondo. Come il corpo umano non può essere sottoposto per troppo tempo ad uno sforzo che non sia teso ad un suo personale beneficio, così la città di Napoli non può ulteriormente sopportare l’avidità degli stranieri che la governano. Lo abbiamo dimenticato, ma la nostra Napoli fu fieramente repubblica. Dalla sua fondazione sino alla sconfitta dei duchi bizantini, Partenope si è retta libera ed indipendente. La mia arte è la farmacia, non la politica. So come curare un’infezione e so quali erbe possono fermare l’opera di un veleno. Ma non mi occorre essere un frequentatore dei tribunali e dei parlamenti per comprendere che l’unico antidoto adatto a questo veleno di Spagna, a questa pozione mortale di tasse e di razzie, è il fragore delle armi. Allora io dico: armati popolo di Napoli! Strada a strada, chiesa a chiesa, bottega a bottega trasforma l’ago del sarto in spada, l’incudine del fabbro in cannone e i libri dei magistrati in polvere da fucile. Poiché la libertà è di tale perfetta sostanza che il solo suo odore è capace di sfamare un cuore coraggioso, basterà che Partenope si desti dal suo triste sonno affinché, finalmente, termini la sua schiavitù.

 

Giuseppe Donzelli fu militante dello schieramento repubblicano dalla fine del 1647 sino alla caduta della Serenissima Repubblica. Durante la sua militanza per la causa della libertà di Napoli scrisse “La Partenope Liberata”, una cronaca appassionata della momentanea cacciata degli spagnoli dalla città e della successiva istaurazione di un governo popolare. Donzelli fu, inoltre, uno stimatissimo speziale di Forcella e fu cliente facoltoso del Banco dei Poveri, nelle cui vicinanze sorgeva la sua farmacia.

 

 

Giulio Genoino, giurista

Su ogni cosa si esercita il dominio dell’esperienza. Sulle turbolenze e sugli eroismi giovanili, alla lunga, è la capacità di discernimento ad avere la meglio. Ecco perché ho posto a servizio di questa rivolta ogni parte di me, ogni mia sofferenza e consiglio. Ma è bene chiarirlo: saremo fedeli al Re di Spagna. Finalmente come popolo libero, però. Liberi dalle catene che l’arrogante aristocrazia ha messo a questa grande e fedelissima città di Napoli. C’è bisogno di un uomo come me per sapere quando dar sfogo alla rabbia. C’è bisogno di un vecchio come me, per sapere quand’è il momento di abbassare le bandiere e ascoltare un Viceré. Affinché questa sommossa diventi protesta, questi ruggiti, richieste e tutto questo sangue, finalmente, pacifica convivenza. Sempre dalla parte di questo popolo, incapace di guidarsi solo. Sempre fedele a Sua Maestà, troppo lontano per capire quanto gli sia affezionata, nonostante le facili apparenze, questa sua Napoli dolente.

 

Giulio Genoino fu il principale protagonista dei tumulti del luglio 1647. Consigliere occulto di Masaniello ed esponente di spicco della fazione riformatrice. Il suo obiettivo, fin dal 1620, fu quello di stabilire una parità tra nobili e popolo nel governo della città di Napoli e di ridurre drasticamente le tasse. La sua idea di riforma però non intendeva spezzare il rapporto di fedeltà tra Regno di Napoli e corona Spagnola. Attraverso il Banco della Pietà egli, dopo i moti di luglio, gestì ingenti quantità di denaro per conto del Viceré.