DOV’ERI? DOVE SEI? SEI TU?
di Maria Francesca Stamuli

“…per lo prezzo di 50 para di calzoni e gipponi consignati, i quali servono per li convalescenti che escono dal lazzaretto di San Gennaro”

Banco del Salvatore, giornale copiapolizze, matr. 62, partita di 30 ducati, estinta il 2 giugno.1656.

Un giorno, la febbre cominciò a calare. Lentamente, un giorno, riuscii a bere, a succhiare acqua calda, o brodo, o quello che era. Non so ogni quanto, e come, e chi e cosa fosse, ma mi nutrivano e mi pulivano. Poi cominciai anche a fare da solo: avevo molti minuti, davanti a me, e poche forze, che mettevo tutte per stringere le dita sulla tela umida, prenderla e passarla sugli occhi, sul collo, dietro il collo, intorno alle orecchie. Presi ad allontanarmi all’altro braccio, all’ascella dolorante, al petto, all’inguine ancora purulento. Imparavo di nuovo a impugnare una ciotola, un bicchiere, a portare alla bocca.

Il mio corpo stava sopravvivendo, e poi vivendo: era lì, ancora con il suo sangue, i nervi, i muscoli. I buchi si riempivano di carne buona, le fistole si svuotavano. Coprivo e riempivo le ferite piano, con cotone pulito pieno di aceto. Bruciava, assai. Ma le piaghe sembravano migliorare, non si infettavano.

Mi misi seduto, ingoiai un pezzo di patata. Mi guardavo intorno, stordito e lento, la bocca secca. Eccolo, l’inferno: la puzza e tutte le declinazioni del dolore; il rantolo, le urla. Il sangue, la carne infetta, gli occhi enormi di febbre e terrorizzati, i vermi che si mangiavano i cristiani ancora vivi. Eccolo l’inferno, ecco dove mi stavo risvegliando. Io Sopravvivevo, sì, ma mi appariva chiaro, andando per il lazzaretto, che forse l’umanità intera no. Non sopravviveva. Almeno non tra quei materassi appulciati. Forse ne arrivava un’altra, di umanità, una nuova. Eppoi, mi tornò pure la voce, bassa e roca; quel filo di voce che ora, capuzzella, mi esce a dirti queste cose.

Quando il cerusico del lazzaretto mi vide che mi alzavo sui miei due piedi gonfi e riuscivo a cacare in un angolo non troppo vicino al mio paglione, disse che potevo pure tornare a faticare. E mi portò un paio di calzoni e un gippone nuovo. C’era bisogno di tutto, e di tutti, anche delle mie due braccia deboli, degli occhi cisposi, delle gambe secche secche. Mi misi i pantaloni. Li allacciai piano. La tela nuova era ruvida, ancora pulita. […]

Maria Francesca Stamuli è nata a Napoli dove vive e sbarca il lunario. Ha due gatti e un bimbo, al quale sferruzza cappellini variopinti. Frequenta i laboratori di scrittura creativa de Lalineascritta a cura di Antonella Cilento.